Catania, Note di D'AntonI

Note D’antoni, Editoriale Maggio 2020: La Pandemia, i martiri della giustizia in una società che sta perdendo i punti di riferimento


«Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile». Per riflettere e ricominciare davvero, bisogna ripartire dalle parole di san Francesco

d’Assisi. Sono giorni difficili, calati in tempi impossibili: la pandemia non solo ha sconvolto le abitudini di vita dei popoli, ma ha sca- vato differenze ancor più profonde del solito tra chi era già ricco (ed ora lo è di più), e tra chi povero era ed adesso non solo lo è ancora di più, ma deve condividere questa sua condizione con molta altra gente.

I danni sono palpabili, la disoccupazione, le imprese e le aziende che non riaprono più, le famiglie sono allo stremo a rischio fame. Ringraziamo benefattori, enti pubblici, enti di beneficienza, Caritas che hanno aiutato con slancio queste famiglie ma il problema persiste e persisterà per tempo se non viene favorita la ripresa economica e il lavoro..

È andato in crisi un sistema non solo economico e un altro nuovo ancora non si vede, e ci si trova sospesi tra il volere di chi vorrebbe (anche in fretta) tornare al passato per non cambiar nulla e di chi invece, vorrebbe puntare su nuovi stili di vita e inediti modelli di sviluppo economici-finanziari con tutti i rischi di una condizione di precarietà che si proietta ancora per lungo tempo. Nel mezzo, arranca un’umanità confusa, che sconta la preesistente carenza di valori e punti di riferimento priva com’è di una bussola che indichi la strada giusta.

Tra il disorientamento generale, una stella brilla e, come la cometa, segnala il percorso. Se solo gli uomini accettassero, come i Magi, di mettersi alla ricerca della verità, si accorgerebbero in realtà che poco o nulla c’è da inventare: dovrebbero solo cercare. semplicemente guardando al calendario, ad esempio, ci si avvede d’una data, il 23 maggio, che molto può dire e dare. In uno stesso giorno di anni diversi, infatti, sono racchiusi il ricordo della strage di Capaci, con la mattanza del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e della loro scorta, e l’anniversario della beatificazione di don Pino Puglisi.

Nelle loro vite, nel loro tragico destino, nella lotta alla criminalità organizzata, ci sono i segni di una testimonianza importante, unica e essenziale, ma ancor più il simbolo del seme che non muore ma, piantato nel campo della vita genera speranza. È evidente, palpabile: se è vero che ogni persona che passa nella nostra vita lascia qualcosa di sé portandosi un po’ di noi, è altrettanto vero che il sacrificio di quegli eroi, di quel martire, tiene ancora accesa nei cuori il desiderio di bene, di pulizia, di mitezza e di fortezza, perché inquieta, richiama ad una rinascita etica, civile e religiosa ed invita a scegliere da che parte stare.

Dove conducono, se non a questo, le esperienze e le storie di gente come don Puglisi e Falcone, ma pure Pier Santi Mattarella, Paolo Borsellino, Rosario Livatino, Rocco Chinnici, giusto per citarne alcuni? Di questi testimoni fino all’estremo, fino al sacrificio, ci si è accorti ed in genere ci si accorge purtroppo soltanto al momento della barbarie, così come essi stessi si scoprono eroi senza volerlo e senza saperlo, con naturalezza, come se ciò facesse semplicemente parte della loro natura. Vissuti semplicemente e caduti sul campo con tanta dignità, sono uomini e donne da ammirare ed ai quali essere grati; da imitare e forse – nonostante il tragico destino – anche da invidiare, perché hanno vissuto veramente per tutti.

Per tutti la loro fine è stata come una grande tragedia, ma non una sconfitta. Non a caso essi giganteggiano nel tempo sui pigmei che li hanno uccisi e la loro vita è ormai un patrimonio di bellezza di esempio, per chiunque voglia cambiare e sognare ma soprattutto in questo tempo del Covid diventano modelli da seguire per la rinascita di una società più giusta, più equa che parta inequivocabilmente dagli ultimi.

Orazio D’Antoni

Orazio D’Antoni

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