PACHINO. «Quanto accaduto questa mattina è il risultato di accordi scellerati tra l’Unione Europea e Paesi Terzi nei quali troppe volte la nostra agricoltura è utilizzata come merce di scambio rispetto a prodotti di altri settori». Lo dichiara l’Assessore regionale per l’Agricoltura Edy Bandiera a fronte di quanto rilevato questa mattina circa la presenza di pomodoro datterino, proveniente dallo stato africano del Camerun, sui banconi di un supermercato di Pachino.
«L’ultimo accordo di partenariato economico tra il Camerun e l’Unione Europea, risale al 2016 ed a fronte dell’esportazione di 1.760 prodotti europei prevede l’ingresso di prodotti camerunensi – precisa Bandiera – Sono accordi che devono essere assolutamente rivisti poichè danneggiano le aziende e accanto a questo pongono il serio problema del controllo dei quantitativi nazionali. Mi chiedo se, chi oggi è deputato ai controlli, riesca realmente a determinarne il quantitativo senza che si sfori in maniera incontrollata sugli ingressi».
Per restare in tema di controlli, alcuni giorni fa l’Assessore Bandiera aveva convocato i quindici sindaci della fascia trasformata, e in quell’occasione aveva annunciato di volere avviare controlli serrati sui prodotti in ingresso in Sicilia e nella Grande Distribuzione. Sempre nei giorni scorsi, inoltre, agenti del Corpo Forestale Siciliano (NOR) hanno sequestrato, nello stretto di Messina, una partita di arance che stavano entrando nell’Isola, spacciate come arance rosse di Sicilia. Non lo erano e pertanto sono state sequestrate, sono scattate le denunce ed elevati 10 verbali.
«Non vi è dubbio che ereditiamo una macchina dei controlli non pienamente efficace – afferma Bandiera – E’ intenzione del Governo Musumeci potenziare i controlli, rendendoli efficienti ed organici».
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Datterino africano in vendita nella patria del pomodorino, la rabbia del produttore: «Così falliremo»”
Sos da Pachino dopo il caso degli ortaggi provenienti dal Camerun: «A stento recuperiamo le spese. Invito i ministri in campagna, così capiranno»
“PACHINO – «Abbiamo tutto in Sicilia. Facciano entrare ananas o banane nel nostro mercato ortofrutticolo. Quelli sì. Ma non il nostro pomodoro o le nostre arance, comunque i nostri prodotti. Che ce ne facciamo del pomodoro del Camerun?». A parlare – riprendendo il caso estremo denunciato su “La Sicilia” di venerdì e rilanciato dai media nazionali – con la semplicità e la genuinità di un ragazzo del Sud di 26 anni è Paolo Pennisi. Viene da una famiglia di agricoltori, da generazioni. Prima il nonno, con le vigne. Poi negli stessi campi si cominciarono a costruire le serre in legno ed a coltivare il “San Marzano”. Poi è stata la volta del padre con il ciliegino. Adesso da 2 anni è il suo turno. «Sin da piccolo – dice Paolo – mio padre mi portava in campagna. Mi piaceva fare dei piccoli lavoretti. Da bambino sono rimasto affascinato da questo mondo e subito dopo il diploma, invece di andare a fare il cameriere a Marzamemi, ho preferito cercare lavoro in campagna».
E così è stato. «Ho cominciato a lavorare – racconta – per i miei cugini che hanno un azienda. Da luglio 2011 fino al 2016 ho lavorato con loro. A giornata. Io sono un tipo che sa fare economia, quindi ho messo qualcosa da parte perché avevo voglia di mettermi in proprio. Così due anni fa ho cominciato affittando qualche terreno per poi lavorarlo. Da allora cerco di crescere e farmi una posizione. Però troppo spesso in campagna tu puoi anche lavorare bene, anche produrre il frutto buono, ma poi è facile capire cosa succede: ieri ho portato al mercato 1.000 kg di ciliegino.
Il prezzo era di 60 o 70 centesimi. Senza provvigione. Sa che vuole dire? Che sto lavorando per cercare di recuperare le spese. Senza guadagno. Io ieri ho raccolto il pomodoro. Il prossimo raccolto posso prenderlo fra 15/20 giorni, meteo permettendo. E i soldi del venduto di ieri li vedrò tra 25 giorni». Il pomodoro datterino proveniente dal Camerun in vendita in un supermarket a Pachino Paolo non è il solo in questa guerra contro il pomodoro contraffatto, contro i mercati, contro “nemici” di cui non conoscono il volto. «Mi fa girare la scatole – dice Paolo – tutta questa situazione.
Non so come difendermi. Non sappiamo come difenderci e da chi difenderci. L’unica cosa che possiamo fare noi è trattare bene le piante. Se viene una tromba d’aria o il vento o il gelo, speriamo che vada tutto bene. Produciamo a casa nostra, acquistiamo materiale da aziende di casa nostra, ma poi ti vedi il pomodoro di altri sotto casa tua. Ti fa rabbia». Il dramma per i piccoli imprenditori è che per affrontare ogni campagna hanno bisogno di liquidità. Senza soldi niente piantine, plastica, concime o altro. Il raccolto, alla situazione attuale, sta andando in perdita. Chi rischia di uinvestire altri risparmi a queste condizioni? «Se continuiamo così – dice Pennisi – molte piccole aziende chiuderanno. Non stiamo parlando dei grossi, che possono affrontare spese. Se io quest’anno non metto niente da parte, non posso affrontare la prossima stagione. Poi un grido che si perderà nel vuoto. «Lo ospiterei volentieri in campagna un qualsiasi ministro del nostro governo per fargli vedere la vita che facciamo. Non adesso, ma in estate. Questo è il lavoro nostro. Questo succede quando scrivono accordi o fanno leggi. Il pomodoro resta sulla pianta. E io devo cercarmi un altro lavoro».”
Fonte: Francesco Midolo” – La Sicilia 05.02.2018
Nei supermarket di Pachino si vende il pomodoro del Camerun
02/02/2018 – 13:01di Francesco Midolo – La Sicilia
Il prodotto locale marcisce: il mercato è saturo ed il prezzo oscilla tra i 40 e i 50 centesimi al chilo
Al bancone di un supermercato a Pachino è in vendita per 1 euro e 39 centesimi al kg il pomodoro datterino, categoria II, provenienza Camerun. E’ un paradosso, per la città conosciuta in tutto il mondo per le qualità organolettiche del suo pomodoro. Un’offesa nel momento in cui la vendita di quel prodotto estero avviene nello stesso periodo in cui il pomodoro di Pachino, resta a marcire nelle piante perché il mercato è saturo ed il prezzo è bassissimo: 40/50 centesimi al chilo dal produttore al magazzino.
Sebastiano Cinnirella ha fra le mani, sullo schermo del cellulare, l’effetto della globalizzazione. Non sa nemmeno quanto dista di preciso il Camerun dall’Italia. Tanta strada: 3750 km.
Chissà che giro avrà fatto quel pomodoro per arrivare su quel bancone, quando quello di Pachino, conosciuto in tutto il mondo, è fatto a poche decine di metri dal supermercato. «L’Italia è sottosopra» dice con rabbia. E piange. Come biasimarlo. Ogni anno per cominciare la campagna chiedo un prestito alla banca. Una cifra importante. La stagione sta per finire e il suo pomodoro è ancora dentro le serre. Mostra le fatture. Solo per concimare il suo raccolto servono quasi mille euro. C’è il costo della piantina, della plastica, della canaletta, dei gancetti, delle tasse, degli operai, della cassette, del trasporto. Il primo prodotto è riuscito a vederlo ad un prezzo dignitoso, quai 1 euro e 60 al kg.
Ora è crollato a 50 o 60 centesimi per il ciliegio e 30 centesimi per il pomodoro da insalata. «Per produrre un kg di pomodoro ciliegio – dice Sebastiano – occorre 1 euro di investimento. A questo prezzo è un raccolto a perdere. Meglio buttarlo. Se continua così non rientro dal prestito. La banca si porta tutto via».
Ferma il suo racconto. Sono lacrime di rabbia le sue. C’è il padre presente. Anche lui ha portato avanti l’azienda di famiglia per anni.
«Io – dice Sebastiano – so fare solo questo lavoro. Ma lo so fare bene. Se non cambiano le cose, cosa mi metto a fare? Dove vado? Come pago i debiti. Dov’è la politica? Da anni c’è un silenzio incredibile sulla vicenda. Fanno accordi senza interpellarci. Come si fa a far vendere in Italia un pomodoro che ha costi di produzione enormemente più bassi dei nostri? E’ una follia. E’ la fine dell’agricoltura siciliana».
Anche il sindaco di Pachino Roberto Bruno ha visto “quel” pomodoro al supermercato. «Provo rabbia, tantissima rabbia», dice Bruno. «Per le famiglie – continua il sindaco – per il prodotto perché mai e poi mai un prodotto africano può eguagliare un prodotto di Pachino. Per qualità per salubrità, per dimensione sociale che vi sta dietro la produzione. Perché qui ci sono famiglie che fanno gli sforzi di manette una dignità del lavoro rispettando le norme che fortunatamente ci sono nella nostra dimensione europea. Altrove non lo so. Temo che non ci siano, né dal punto di vista della salubrità dei prodotti, né il rispetto della dignità dei lavoratori».
Il primo cittadino chiede un intervento delle istituzioni. «Chiediamo – dice Bruno – controlli serrati per verificare se ci sono frodi. Vogliamo un confronto con la GDO. Dobbiamo dare una soluzione ai prodotti ortofrutticoli siciliani».
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