I cattolici possono prescindere dal Vangelo nella partecipazione alla vita politica? Cosa ci racconta l’esperienza degli ultimi 25 anni di politica italiana ?
Esiste probabilmente un equivoco, generato anche dalle caratteristiche singolari della storia italiana e dalle ingerenze – ormai per fortuna superate – della gerarchia nell’azione politica dei cristiani, sul rapporto tra cristiani e politica. Non siamo chiamati alla costruzione specifica della sfera politica o alla difesa di verità cattoliche in ambito politico, ma a una testimonianza di fedeltà evangelica che incontra la dimensione politica e ne assume la responsabilità in uno Stato laico e pluralista.
La politica nella città, abbiamo dei buoni esempi (categoria da recuperare) di cristiani che hanno vissuto la città, sia a livello locale, sia a livello nazionale pensiamo a Giuseppe Lazzati, o Giorgio La Pira.
La testimonianza di questi cristiani è una testimonianza dell’adesione al Vangelo, non una testimonianza di fedeltà a una linea politica.
Non possiamo capire nulla della loro azione se li svincoliamo dal loro percorso di fede e questo vale per tanti cristiani che hanno dato alla partecipazione politica un tempo della loro vita.
Una domanda provocatoria. Cosa avrebbe fatto La Pira di fronte alla situazione attuale di persone che da troppo tempo si sono trasferite nella Cattedrale di Catania ? Cosa sta facendo la chiesa catanese ?
La domanda da farci è se siamo in grado di leggere la città e i suoi cambiamenti, alla luce della nostra specificità. Soprattutto se siamo in grado di rispondere ai sentimenti di rigetto e di estraneità, che arrivano da larghi strati di cittadini, rispetto alle dimensioni pubbliche della vita.
Se parliamo degli argomenti della vita quotidiana, sicuramente troveremo la possibilità dell’ascolto, del confronto, della partecipazione ed è valido per tutti gli agenti della formazione e della partecipazione, dalle parrocchie, ai gruppi e movimenti ecclesiali, ai partiti e ai movimenti politici.
Se si parla dei problemi legati al lavoro, alla sanità, alle pensioni, alla scuola, non si fa altro che aiutare a migliorare la capacità di scelta e di decisione dei cittadini.
Cerchiamo di fare breccia nel sentimento, ancora presente, che la partecipazione e il voto siano un dovere civico. Pensiamo, anche nelle nostre parrocchie e associazioni, a una nuova stagione di patriottismo costituzionale, perché abbiamo una Costituzione di alto profilo e capace ancora di dare molto al miglioramento delle condizioni di vita e in gran parte il merito è dei cristiani che hanno contribuito a scriverla, determinandone scelte, principi e istituti. Ne sono stati capaci perché, in anni difficili più dei nostri, c’è stato un grande investimento sulla formazione.
La partecipazione: potrebbe essere utile distinguere due forme di partecipazione.
Una che vuole porsi come rappresentativa dei cittadini-elettori e una che appartiene alla dimensione pubblica di ogni cittadino.
Nel primo caso è necessaria una riflessione, anche molto autocritica, sulle modalità della ricerca del consenso.
E’ inevitabile definire un nuovo modello in un tempo in cui a livello nazionale:
- non esistono più partiti o movimenti portatori di ideologie;
- le figure dei leader sono deboli e molto legate a un ruolo di capo-tifoseria, anziché di soggetto capace di attrarre sulle proprie posizioni opinione pubblica e altre forze politiche;
- si sono allentati i vincoli di natura clientelare, anche per una minore capacità di controllo della spesa pubblica ai vari livelli politici.
Questi fenomeni sono però parzialmente presenti al Sud e qui in particolare, dove il consenso si aggrega ancora con metodi politici legati alla risoluzione (o alla promessa risoluzione) di problemi economici e sociali della quotidianità.
Bisogna dire chiaramente che questo metodo di raccolta del consenso è un metodo che contrasta con il Vangelo, che è un metodo violento che pregiudica la ricerca della verità e della libertà ed è in contrasto con la ricerca di verità e giustizia che è tipica del cristiano.
L’unico metodo credibile è quello di testimoniare una completa alterità dell’esperienza cristiana e la capacità del cristiano impegnato in politica di essere legittimato e capace di rappresentare la difesa dei diritti umani e delle istanze provenienti dai piccoli e dai poveri, andando oltre una visione confessionale della presenza in politica.
Eliminare il marchio, ma non la storia.
Abbattere il confine che spesso costringe le nostre esperienze politiche, ecclesiali e associative. A questo proposito c’è da interrogarsi sul consenso che Papa Francesco ottiene fuori dall’ambito della Chiesa, anche con eccessivi entusiasmi, quasi che si possa prescindere dal fatto che la difesa del creato, la cura dei poveri e l’onere della ricchezza, si possano leggere fuori dalla dimensione spirituale.
Alla luce di questo, la partecipazione di tutti alla vita politica non può che passare:
- dalla capacità di formare cittadini consapevoli e, nel nostro caso, di “cristiani adulti”
- dalla tensione a fornire un “buon esempio” e un testimonianza di vita fedele al Vangelo
- dalla ricerca di forme di partecipazione che non siano generatrici di professionismo e carrierismo politico
Per una proposta operativa, potrebbe essere utile provare a focalizzare l’attenzione su un percorso formativo e informativo destinato a chi per la prima volta si affaccia all’esercizio del diritto di voto, con la fiducia che non mancano, sia a Catania, sia a livello nazionale, grandi
energie per il cambiamento che trovano difficoltà a esprimersi, soprattutto durante periodi elettorali ormai continuativi, finalizzati più a mantenere il “controllo” e l’entusiasmo dei propri elettori fidelizzati, anziché cercare di parlare al mondo vasto degli astensionisti, dei disillusi, di chi non crede nella capacità di conversione della sfera politica.