Note di D'AntonI, Religione

Note D’Antoni: Riflessioni sul fine vita

Eutanasia o cure palliative? Non era iniziato sotto i migliori auspici l’iter del disegno di legge Bazoli- Provenza, che tratta di eutanasia e di suicidio assistito. Approdato alla Camera lo scorso 13 dicembre in un’aula semivuota. il ddl, che tiene insieme varie proposte di legge presentate sull’argomento, in realtà trae le mosse da quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale sul caso di Marco Cappato, il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni rinviato a giudizio e poi assolto per aver aiutato Dj Fabo a sottoporsi al suicidio assistito in una clinica svizzera.

Cappato, secondo quanto previsto dall’articolo 580 del Codice penale (“Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni”), era stato accusato di istigazione al suicidio.
Tuttavia, con la sentenza n. 242 del 2019, la Corte costituzionale aveva dichiarato la parziale illegittimità dell’articolo 580 Cp, escludendo la punibilità di chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio” di “una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili”.
Tutti casi in cui, secondo la Consulta, il reato non sussiste, purché la persona sia pienamente libera e consapevole. La Corte ha chiesto anche al Parlamento di colmare il “vuoto normativo” sul suicidio assistito.
Tuttavia, questo disegno di legge non ha avuto vita facile, evidentemente perché la questione non è percepita esattamente come un'”emergenza” in un momento storico-sociale in cui i cittadini, già duramente colpiti dalla gestione del Covid e dalla conseguente crisi economica, forse sono più preoccupati di come continuare a vivere, anziché di come scegliere di morire. Pensiamo alla battaglia sugli emendamenti, avvenuta a marzo in Parlamento, che ha visto la bocciatura di diverse proposte del centrodestra e il licenziamento del testo alla Camera con 253 voti favorevoli e 117 contrari. Ora il Ddl è incardinato in Senato e si preannuncia una dura battaglia.

Suicidio assistito, il cardinale Zuppi: “La vita è dono anche se si riduce a un soffio”

La Chiesa è una madre che non sopporta la sofferenza dei figli. Una madre non vuole alcun accanimento. Una madre accompagna con amore, togliendo la sofferenza, non la vita”. Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) riflette sul suicidio assistito. Zuppi ricorda Fabio e Federico. “Due lutti in pochi giorni”, scrive il cardinale. “Pregando per loro mi sono sforzato di sentirli come sono, compagni di viaggio. Ne immaginavo le voci, cercavo i volti per capire qualcosa di quel gomitolo di tanti fili di vita

che è il nostro cuore. Ci hanno lasciato due persone, ognuna mio prossimo, cioè il più caro. Non due “casi”. La discussione purtroppo estremizza le differenze, contrappone le sensibilità, molto più vicine quando (con rettitudine) si cerca il bene della persona, e di quella persona, e non la difesa di una ideologia. Il Parlamento sta discutendo una nuova legge in materia di fine vita (il testo approvato dalla Camera il 10 marzo scorso è ora all’esame del Senato)”.
“Quanto c’è da fare ancora perché siano garantite dignità di accompagnamento e terapie palliative efficaci, tempestive”, prosegue Zuppi. “Quanti Fabio, quanti Federico giacciono ignorati dai media nelle nostre case, nelle corsie di ospedale, nelle Rsa, negli hospice? La Chiesa è, deve essere sempre madre, che non abbandona mai i suoi figli. Lottare? Sì, per vivere. Lottare? Sì, per lenire il più possibile il dolore. Lottare? Sì, contro il tarlo maligno della solitudine che accompagna la morte e ne è terribile alleata. Perché è vero che “quando si muore, si muore soli”, ma la protezione di strutture efficaci e dei propri cari, cioè del prossimo, non lascia solo nessuno. Una cosa, infine. Non devo, non dobbiamo avere paura di affermare che la nostra fragilità può diventare una forza umanissima e che l’amore è amore fino alla fine, anche sotto la croce”.


Il ddl Bazoli: legge che tutela la vita umana?

Il ddl Bazoli è al Senato dopo l’approvazione della Camera, si parla di un imminente iscrizione all’ordine del giorno dei lavori del Senato, forse entro luglio p.v. Il dibattito su questo disegno di legge è quasi nullo tranne sporadici incontri o articoli sui quotidiani cattolici.
Sentiamo la posizione dell’Associazione Pro Vita&Famiglia.

Associazione Pro Vita&Famiglia.


Il 15 febbraio la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il referendum proposto dai Radicali che avrebbe voluto l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale che vieta l’omicidio del consenziente.
Il comunicato stampa della Corte fa intendere che bisogna garantire “la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”.
Inoltre, se si può essere lieti della inammissibilità del referendum – purtroppo – non si può essere entusiasti della posizione della Corte Costituzionale. Cosa si intende per “tutela costituzionalmente necessaria della vita umana”?
Innanzi tutto, da quasi mezzo secolo l’aborto – che pone fine alla vita umana più innocente e indifesa – è stato giustificato dalla stessa Consulta in considerazione del preminente “diritto” della madre. Poi, nel 2019, con la sentenza 242, la stessa Corte, ha giudicato possibile legalizzare il suicidio assistito, a certe condizioni.

Ciò vuol dire che la “tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana” è un concetto piuttosto fluido, che “dipende” da “certe situazioni”.

E dal 2017, la legge 219, nota come “legge sulle Dat”, permette l’interruzione di cibo, idratazione e ventilazione (o di eventuali terapie) finché non sopraggiunga la morte del paziente che abbia prestato idoneo “consenso informato”. Val la pena ricordare – per inciso – che se la persona è incapace di intendere e volere, conta il consenso prestato anche molto tempo prima e in tutt’altre condizioni. Oppure decide una persona delegata o un rappresentante legale: quindi la famosa “autodeterminazione” non è affatto garantita.


Non Uccidere

Ma attualmente c’è un altro pericolo in vista: il disegno di legge Bazoli-Provenza che vuol legalizzare il cd. suicidio assistito, dando attuazione alle disposizioni della stessa Corte Costituzionale contenute nella sopracitata sentenza del 2019.

La principale criticità contenuta in questo ddl è che considera la vita umana come un bene disponibile, in aperta contraddizione con il precetto “non uccidere” che – ricordiamo – non è “solo” uno dei Comandamenti che Dio ha dato all’uomo, ma è anche una regola sociale razionale e “laica” contenuta in quella legge naturale che accomuna tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutte le latitudini.

Un altro elemento critico del ddl in questione è l’indeterminatezza della fattispecie, in particolare per quanto riguarda la “condizione clinica irreversibile”.
A rifletterci bene “una patologia irreversibile, a prognosi infausta che provochi sofferenze intollerabili” è qualsiasi vita umana: siamo tutti inesorabilmente destinati alla morte. E chi,

nella vita, può dire di non aver mai sofferto “pene intollerabili”? Comunque, a voler restare strettamente nel campo medico, ci sono diverse patologie, come il diabete, come certe malattie del sangue, che sono certamente irreversibili e a prognosi infausta, ma che, adeguatamente trattate, consentono una vita lunga e relativamente felice.

Quanto all’intollerabilità del dolore: chi ha il metro per stabilire che le pene sofferte da Tizio siano più o meno insopportabili di quelle di Caio? E poi, ammesso e non concesso che la morte assistita possa servire a porre fine alla sofferenza, chi può garantire che essa stessa sia davvero una “bella” morte, veloce e indolore?

I dati in nostro possesso dicono tutt’altro. Gli stessi eutanasisti (in Canada e nel nord Europa) non fanno altro che studiare nuovi cocktail di sostanze più rapide , indolori ed efficaci: vuol dire che il problema esiste, eccome.

Il ddl Bazoli, inoltre, non spiega cosa si intende per “cure palliative” (che non possono essere ridotte alla semplice somministrazione di antidolorifici, ma consistono in una serie di interventi multidisciplinari con supporto psicologico sia per il paziente che per i familiari), né contiene un riferimento chiaro all’obiezione di coscienza, stravolgendo ancora una volta il ruolo e la professione del medico, che è quella di “curare”, anche quando non si può guarire.

I fautori della normativa in questione, inoltre, si presentano come paladini della libertà e dell’autodeterminazione. Abbiamo già visto come sia solo una pia illusione, in base al disposto della legge vigente sulle dat. E, in buona sostanza: chi è che garantisce che la volontà del morente sia tale fino alla fine? E se, invece, serve l’assenso di una commissione medica, allora la decisione è presa da altri e non dal malcapitato paziente!

I Paesi al mondo sono circa 195. Solo una decina di essi ha legalizzato leggi eutanasiche e in ognuno di essi, una volta aperta la falla nella diga, tutti i paletti e le garanzie sono saltati: si uccidono malati non terminali, disabili lievi, giovani sani semplicemente depressi, anoressici, minorenni, bambini, persone che si dichiarano “stanche di vivere”…

Tanto per fare qualche numero: in Oregon, in 20 anni, i suicidi assistiti sono aumentati del 1.500%, a Washington in 10 anni, del 560%; in Olanda sono aumentate del 382% (ma per una buona parte non sono neanche più segnalate), in Belgio in 18 anni sono aumentati del 1.025%, in Svizzera del 2.730% in 20 anni; in Canada, in 5 anni, le persone uccise perché sofferenti sono state 1.018 nel 2016 e 21.589 nel 2020.

La legge ha un alto valore pedagogico: finché essa protegge la vita, i consociati assumono la vita stessa come un valore da difendere, da tutelare. Nel momento in cui la vita diviene un ingombro di cui lo Stato si incarica di liberarci, ogni persona malata, o che si sente abbandonata e sola, bisognosa di cura e di assistenza, si sentirà in dovere di morire, per non essere un ingombro – appunto – per i
familiari e per la società.

In realtà gli psichiatri seri sanno bene che nessun aspirante suicida vuole “morire”, ma vuole solo smettere di soffrire. La società civile e lo Stato devono fornire le cure di prossimità e farmacologiche necessarie per lenire la sofferenza, non eliminare il sofferente… Ma curare costa. Uccidere è più economico, più facile e sbrigativo.

Orazio D’Antoni

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