Note di D'AntonI

Autonomia differenziata.

Che Cos’è, Come Funziona, Perchè se ne Parla


Passata al Senato la riforma Calderoli, in tema rapporto Stato-Regioni, attende la seconda lettura alla Camera. Cerchiamo di capire di che cosa si occupa e per quali ragioni suscita dibattito.

Autonomia differenziata
Autonomia differenziata

Il disegno di legge governativo per l’Autonomia differenziata, cosiddetto Ddl Calderoli è stato approvato il 23 gennaio dal Senato con 110 voti favorevoli dei partiti di maggioranza e del gruppo per le autonomie, con 64 contrari di Pd, M5S, Alleanza verdi-sinistra e Italia Viva, e con 3 astensioni dei senatori di Azione. Il passaggio successivo è la seconda lettura alla Camera.

 

CHE COSA SI PROPONE IL DDL

Si tratta di una legge procedurale in 10 articoli che definisce le procedure legislative e amministrative da seguire per attuare il terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, dove prevede la possibilità di attribuire ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» alle Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta. Siamo nell’ambito del cosiddetto Titolo V oggetto nel 2001 di una riforma che tanto ha fatto discutere negli anni per le potenziali sovrapposizioni di potestà legislativa tra Stato e Regioni.

 

COME SI PROVVEDE ALL’ATTRIBUZIONE E QUALI SONO LE MATERIE

Serve una legge dello Stato «sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata». Quali sono le materie interessate? Si tratte delle materie dell’articolo 117 della Costituzione che prevede legislazione “concorrente” tra Stato e Regioni: «Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale».

A queste si aggiungono tre materie su cui l’esclusiva legislativa spetta allo Stato: «organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».

 

REQUISITI MINIMI E RISCHIO FRAMMENTAZIONE

Il fatto che una Regione possa chiedere maggiore autonomia su così tante materie anche tutte insieme ha suscitato la preoccupazione che il meccanismo possa frammentare lo Stato arrivando ad amplificare già presenti differenze nei servizi. Si pensi a sanità e istruzione. Anche perché i casi in cui sono stati scritti accordi preliminari sono esempi di richieste ampie: il Veneto ha chiesto autonomia rafforzata in tutte e 23 le materie, il Veneto in 20, l’Emilia Romagna in 16. Un elenco molto ampio che comprende materie di rilevanza nazionale e persino internazionale. Vero è che il Decreto stabilisce che «l’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione (Lep) e riguardanti tutte le Regioni del Paese». In particolare si prevede una fissazione di Lep – ci saranno due anni di tempo attraverso decreti attuativi – in  materia di istruzione, ambiente, sicurezza sul lavoro, ricerca scientifica e tecnologica, salute, alimentazione, ordinamento sportivo, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e navigazione, comunicazione, energia, e beni culturali. Ma molti dei dettagli sul punto restano da scrivere.

IL NODO DEL FINANZIAMENTO

Resta, tra le altre cose, aperto il nodo del finanziamento dell’autonomia differenziata, che secondo il Ddl dovrebbe avvenire senza ulteriori aggravi per la finanza pubblica: diversi analisti vi vedono rischi di sostenibilità economica a livello nazionale e di diseguaglianza tra i territori, nonché il pericolo che possa prodursi un aggravio della burocrazia. «Il trasferimento delle nuove funzioni alle Regioni ad autonomia differenziata (Rad) – si legge nella Memoria della Banca d’Italia trasmessa al Senato nel giugno scorso «comporta la devoluzione di una quota di gettito erariale potenzialmente significativa e, contestualmente, la perdita di controllo da parte del governo centrale di settori rilevanti della spesa pubblica. Bisognerà assicurare che la gestione del bilancio in funzione anticiclica non ne risenta; tutte le Regioni dovrebbero contribuire alla sostenibilità dei conti, al rispetto dei vincoli di bilancio costituzionali (artt. 81 e 97 Cost.) e di quelli europei. Tra i principi enunciati nel Ddl vi è quello dell’iniziale bilanciamento tra entrate e spese trasferite, in modo da rendere neutrale almeno nell’immediato l’impatto del riassetto delle competenze sui saldi di finanza pubblica. Il rischio che da tale processo possano derivare maggiori oneri per il bilancio pubblico, tuttavia, non può essere trascurato. Come già ricordato, la spesa complessiva potrebbe risentire della frammentazione nell’erogazione dei servizi pubblici, oltre che di maggiori costi dovuti a diseconomie di scala».

PRO E CONTRO

Chi sostiene la riforma ritiene che in questo modo si dovrebbe garantire una migliore aderenza tra servizi ed esigenze specifiche dei territori, anche perché si presume che un criterio di “vicinanza” responsabilizzi maggiormente in termini di ricadute sul consenso i decisori locali, chi la critica teme invece che la riforma nasconda il pericolo di disgregare il Paese, esacerbando e istituzionalizzando di fatto le differenze economiche, politiche, sociali, che già ci sono tra una regione e l’altra.

 

SALUTE, IL TEMA PIÙ DELICATO

Il tema della salute, che già rappresenta una delle voci più significative nei bilanci regionali, è quello che più suscita dibattito. Durante l’emergenza Covid si era posto il problema della difficoltà di fronteggiare un’emergenza globale con un sistema sanitario già largamente affidato alle autonomie regionali, e di fatto a più velocità, ora la preoccupazione di molti è che un’autonomia rafforzata possa ulteriormente consolidare le

differenze tra Regioni più facoltose e meno, anche in termini di diversa possibilità di accesso ai servizi da parte di cittadini di regioni diverse, il timore che l’autonomia differenziata si traduca in un aumento delle diseguaglianze è il tema politicamente più sensibile. «Bisognerà trovare la maniera che le due cose si raccordino», ha sottolineato il cardinale segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, interpellato dai giornalisti sul tema – da un lato cura, diritti e dignità dei malati; dall’altro progetti di autonomia – perché “ne va della dignità della persona e del suo benessere totale, fisico e spirituale. Qualsiasi organizzazione si possa pensare, bisogna però mettere alla base questi principi», altrimenti «fallisce». Gimbe, Fondazione indipendente che analizza i dati della sanità, paventa il rischio che l’autonomia differenziata si traduca nella «legittimazione normativa della “frattura strutturale” Nord-Sud, che compromette l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute, aumenta la dipendenza delle Regioni meridionali dalla sanità del Nord e assesta il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale». Tanto che aveva chiesto prima del voto al Senato di espungere la salute dalle materie su cui si possa chiedere un aumento dell’autonomia, richiesta che non ha trovato accoglienza.

Orazio D’Antoni

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